martedì 16 agosto 2011

PILLOLE DI SAGGEZZA



Gira e gira tanto dopo restano quelle due sfere là in mezzo alla strada, è già l'ora di ritornare a casa.
Le sfere hanno un'iride verde e dentro screziature fangose. E' una voragine melmosa che attrae, bordo di pozzo pieno di silenzio d'olio.
Mi ritrovo disteso sulla sponda del letto con i piedi dentro un limite d'alghe scure, lì ad attendere.
Aspetto l'onda nera, una risacca d'oblio che tarda e tradisce chi ha fretta. Finalmente la marea allaga un entroterra di occasioni, di coscienze, di memorie a centinaia, fino al protrarsi estremo dei minuti. Ma sì porta via, trascina via, così è abbastanza.

Lo sguardo lo teneva basso, la visuale sfiorava di poco come il sibilo di una lama. Dunque la visuale sfiorava il profilo del naso e si posava all'attaccatura del pollice della mano destra, oppure sulla punta dell'indice sinistro, perché era mancino. Comunque alla mattina questo importava poco visto che le cose gli venivano male lo stesso, come se non fosse stato né mancino né destrorso.
Inseguiva inebetito le sue dita, dietro di loro di volta in volta si agitavano una moka, un biscotto, un tasto del telecomando, il manico della tazza, i capelli di sua figlia, il tasto del telecomando, un pezzo di mela. Anche quella mattina aveva inseguito le sue falangi dalla cucina al bagno, sotto l'indice sinistro si era ritrovato una pagina della Recherche, poi come al solito un foglio di carta igenica, il rubinetto del bidet, altri tre fogli di carta igenica. Nell'incavo della mano era colato un ovulo di sapone liquido. Sul vetro del tavolo del soggiorno trovò le due Optralidon blu da ingoiare, come un bel paio di scarpe nuove se le sentiva proprio comode, l'acqua nel bicchiere sembrava proprio un calzascarpe in corno. La prospettiva gli si allargò di colpo in panoramica, la punta del naso si trasformò in un punto gravitazionale immaginario, alla fine delle braccia vedeva tutte e dieci le dita, agilissime tiepide e asciutte, le unghie erano forti e addirittura un po' brillanti. Inspirò profondamente, il torace si trasformò in quello di un uomo robusto di circa quarant'anni, un fisico da lottatore si sarebbe detto, il mento si contrasse in un sorriso.
Cia..., io vado…>
Bacibaci!!>
Quando uscì giù in strada istintivamente abbassò la testa e guardò in alto prima nella porzione di cielo visibile da sotto il suo portone, poi nel parcheggio scrutò ben bene tutta la volta celeste con la sua vista a trecentosessanta gradi. Niente, niente di niente. Salì in auto e per un attimo riuscì solo a visualizzare il palmo della mano stretto al volante, se guardava il parabrezza vedeva sé stesso riflesso nel parabrezza - cioè non è un sogno questo - pensò - nel sogno non si vede se stessi riflessi nel parabrezza. E' così - si confermò. Intanto la macchina andava, non appena la visuale dal parabrezza migliorò, si accorse di essere in leggero ritardo sulla tabella di marcia, accelerò. Poteva sentire la linea di mezzaria lampeggiargli sotto il muso della macchina, la sentiva danzargli di sotto, a destra e a sinistra, dopo le frenate gli si posava tranquilla a fianco, in attesa di nuove partenze.
Aveva la mente chiara come un quarzo.

sabato 6 agosto 2011

RAPPORTO #08062011


E poi un'altra sera.
Aumento il passo ma i piedi sono malfermi,
pesanti di pietra che non riesco ad alzare,
con un cuore così, che sbatte in gola e nel petto,
dove voglio andare ancora?
Grida soffocate come impulsi d'energia
si schiantano sulle vetrate di una palestra.
Al tavolino lei mi fissa con due feritoie da caimano.
L'impatto sembra rompere ogni volta il vetro di quegli occhi,
stringo il pugno sinistro contro il mento.
L'aria mi esce dal naso con uno sfiato umido.
Il sibilo fulmineo del grande rettile.
Il gelo già parte dalla mia spalla
dritto in avanti, dritto in faccia.
Lei vacilla indietro con gli occhi smarriti
che sporgono in avanti,
le parole sono tornate ad essere mani,
le punte rosse delle lingue tacciono.
Orsacchiotto dal naso rotto
tra le labbra ti fuoriesce brillante saliva.
Sono parole per piacere,
per un uomo lontano
che rimane sotto la luce di un lampione,
cammina su e giù, parla al telefono, forse sono io.
Le nuvole se ne sono finalmente andate via,
lasciano vedere nuove stelle,
quante non ne hai già viste,
o che comunque non ricordi.
Gemere dentro quel pezzo di plastica
è tensione elettrica emotiva,
di là c'è lei con tutte quelle squame negli occhi,
scatti selvaggi,
pensieri che non stanno più dentro l'osso del cranio.

mercoledì 3 agosto 2011

LE TROMBE DEL GIUDIZIO PERSONALE



C'era uno che davanti a me attraversava la strada senza guardare. Attraversavo la strada e guardavo la sua schiena larga, di quelle che sanno lavorare troppo. La morte non lo voleva, stridevano le frenate attorno a noi come cornacchie in picchiata.
La testa era un elmo, le spalle brillavano sulle nostre possenti corazze, fratello, sfrecciavano pneumatici come attacchi di violino e i clacson erano le trombe del giudizio personale, così eravamo felici.

SE C'E' NON LO VEDI



Se non ci sei muoio, muoio qua e là, al lavoro, in palestra, per strada, nella musica che ascolto, nel colore dei capelli di una collega, nelle sue risa il mio stridore.

Ruggine che ricopri questa ringhiera prega per me.

martedì 2 agosto 2011

LUNA








Adesso è quando sale un silenzio innaturale,
di neve che cade, di nebbia dentro dove tutto scompare.
Lontana è la città che dorme.
Un camion insegue le luci gialle della statale
mormora quello che sto pensando.
Sopra il profilo dei condomini ci sono i tuoi occhi giganteschi.
Come lune arrivate da un pianeta lontano,
segrete e minacciose stanno là.


Niente si muove, né il vento mi consola,
sussurrando all'orecchio, a dire "ti passerà",
ora volto lo sguardo e riempio il petto
d'aria umida che sa di fiume.
Forse sono due astronavi incastrate lassù,
c'è stato un errore del computer.
Avaria nel sistema dei comandi spazio temporali,
c'è una delegazione di pace che vuole sbarcare,
il Presidente degli Stati Uniti non sa cosa fare.