giovedì 9 agosto 2012

La tartaruga invisibile

Serenita dopo tanto tanto tempo si addormentò, scivolando tra le placide onde di un profumo non di questo mondo, una sensazione di appagamento la prese. La fata Xena, ruotando a spirale, dai capelli blu spargeva l'essenza. Serenita s'incamminò nel giardino luminoso e vivente. I tratti del suo viso erano d'oro e ambra, si riflettavano nello specchio d'acqua. Xena chinò il capo nascosto sotto l'onda color ametista e con l'indice sfiorò l'acqua che vibrò. Tremando le gocce di specchio sussurrarono: “Serenita trova la tartaruga invisibile.”
Un'emozione d'ombra sfiorò la fronte di Serenita e lei corse via, si sentì scoperta e impaurita. Alzò le ginocchia e volò nel soffio con il sole tra i capelli. Di Xena e di quell'acqua fredda rimase solo un ricordo.
Il tempo era una goccia di rugiada sospesa sull'orlo verde di una foglia. A perdita d'occhio il giardino si estendeva senza contorni nella luce. Era un mondo improntato alla felicità, inondato da un'aura positiva, una sensazione di completezza e pace. Xena era stata l'emozione di un istante, un profumo vibrante, una fragranza celata.

Il sole scomparso dietro l'orizzonte lasciò di sé solo il soffio delle corolle che si richiudevano e il sentore della frutta ancora calda dei suoi raggi.
Gli occhi di Serenita riflettevano il luccichio del bosco. Nel silenzio gonfio di respiri lontano si vedeva un grande castello dalle torri buie. Cammina e cammina, nella calma piena di bisbigli Serenita si diresse sotto le imponenti mura.
- Ehi tu! Che vieni a fare qua!
- Mi sono smarrita, Signore...
- Io sono il Padrone di Poison! Come ti chiami piccola ficcanaso?
- Serenita, signore, vengo dal giardino di Xena, e non so ritrovare la via di casa.
- Ah ah ah! Dite tutti così, però poi, una volta entrati nel mio castello, non volete più andarvene! Torna da dove sei venuta, prima che anche per te sia troppo tardi!
Così dicendo il signore di Poison spalancò il mantello violaceo mostrando il petto decorato da mille monocoli e occhialini dalle montature d'oro, scosse le braccia e si alzò a due metri da terra tra il tintinnio delle lenti e delle stanghette.
-Ah ah ah ah piccola sciocca! Vedrai!- tuonò con la voce imperiosa.
Serenita sgranò gli occhi più verdi dell'acqua del fiume e cercò di farsi ancor più piccola, vide i piedi staccarsi da terra, richiuse le mani sulla testa e strizzò le palpebre fino al dolore. Sentì il proprio corpo fluttuare nell'aria.
Un profumo insistente di vaniglia s'infiltrò nelle narici, un aroma audace e curioso, nulla che avesse quell'odore dolce poteva spavantarla, pensò, e lentamente decise di guardare ciò che stava accadendo attorno.
Si trovò a volo su pile, colonne, mucchi di libri. Ovunque girasse lo sguardo c'erano montagne, pareti di volumi di ogni forma e colore. Dappertutto tartarughe con occhialini o monocoli la guardavano incuriosite. Le lenti ingigantivano i loro occhi che, strano a dirsi, non erano quelli soliti delle testuggini ma con l'iride rotonda e colorata come quella degli umani e anche di più.
Dopo un paio di volteggi il Padrone di Poison liberò la presa e Serenita si sentì come precipitare, invece atterrò soffice sui piedi.
Nella penombra illuminata qua e là da lanterne di carta cinese si intuiva il lento movimento di qualche tartaruga, Serenita si avvicinò a una che passava di lì.
- Scusa, senti, mi poteresti dire che ci faccio qui?
La tartaruga la fissò con due occhi nocciola attraverso delle lenti rettangolari strette strette che sembravano costruite per leggere una sola riga alla volta, con aria meravigliata trasse un sospiro.
- Boh..., no so tu, ma io sono qui per leggere il mio libro.. che altro sennò...
- Ah.. tutte queste tartarughe son qua per leggere un libro?
- Già... che immaginavi? Che volessero mangiarlo?... Ah ah aha ah... Comunque non “un libro” ma “il proprio libro”....
- Oh.. vuoi dire che ognuno ha il suo personale libro?
- Eh, certo, come potrebbe essere diversamente... io per esempio ho Osvaldo Soriano “Triste, solitario y final” purtroppo sono quasi alla fine... sono alle ultime pagine, voglio gustarmele...
Serenita rimase un attimo in ascolto, il bisbiglio che aveva udito nel bosco non era altro che il suono di migliaia di pagine che venivano girate in ogni momento tra le mura di quell'enorme castello di libri, pensare che ognuna di quelle occhialute avesse un libro tutto per sé, quasi quasi le smosse un senso d'invidia.
- Hei, tu! Amico! - cercò di fermare una testuggine che aveva il carapace screziato di giallo e due occhietti marroni e furbi.
- Posso chiederti... vorrei trovare il mio libro ma non so come fare...
- Ah aha ahah... potresti incominciare guardando sotto di te, per esempio!
Serenita seguì il consiglio e infatti si accorse di avere le zampette appoggiate su un libro non tanto grosso con la copertina bianca Lewis Karroll, “Alice's adventure in Wonderland”.
Zampette!!??
Improvvisamente si sentì sprofondare all'indietro e la testolina le sparì nel carapace, tentò uno scatto di fuga verso l'alto, ma l'unico effetto che ottenne fu un fremito della coda, un'appendice verdastra e rugosa. Il cuore le batteva forte per lo spavento, ma allora anche lei era una tartaruga! Com'era stato possibile? Tutto era successo così in fretta. Pianse e poi le passò. I battiti del suo cuore rimbombavano nel guscio scuro, tutto era successo in un lampo e senza spiegazioni.
Si rassegnò sopra il suo libro, che altro poteva fare?
Decise di leggerlo. Allora si sistemò gli occhialetti sul naso, toh! erano a forma di cuore con la montatura rosa... Con un certo sforzo riuscì ad aprire il libro, ecco... pagina ventidue... e di nuovo quel dolce profumo di vaniglia.
Tentò di sfogliare indietro verso l'inizio, ma niente, tutti gli sforzi inutili. Tentò allora di sfogliare le pagine avanti, ma niente da fare. Pagina ventidue era lì e quella bisognava leggere, il messaggio era chiaro, l'aveva capito.
Le righe della pagina dormono e sognano gli occhi di chi li legge: gli occhi di Serenita sono profondi come un bosco scuro e “... cammina cammina tra le sillabe inciampando e saltando nell'aria o scivola nel fosso e si spiaccica e appiccica giù...” Saltando e volando tra le sillabe Serenita giunge a uno strano cancello:
Serenita devi uscire dal carapace e tornare a casa tua!!”. Questi stranissimi semi crescevano in quel giardino. Come poteva adesso lei lasciare il suo guscio? Si chiese. Io non sono dentro il carapace, io sono il mio carapace! E lui è me!?

La tartaruga non dormiva da anni e sognava tra le righe del suo libro. Si sollevò gli occhiali e si strofinò le ciglia: era arrivata a pagina mille di mille e tutti gli zeri indicavano solo quante volte le era sembrato di dover iniziare da capo, ma invece la storia si raccontava, eccome!
"Ma se ti girasti, Serenita, e scorgesti un muro, fu inutile voltare il capo per tornare nel giardino, quel muro c'è, lo vedesti. Anzi più te ne tieni distante e più esso diventa duro e alto e se lo cali nel pozzo dell'oblio, assorbirà tutta l'acqua e morirai per la sete di verità. E se mandi i nani sapienti a sgretolarlo riusciranno solo a sparpagliarne i pezzi in giro, nascondendoli ovunque, e ad ogni passo rischierai di inciampare. Non serve stare sotto il muro a piagnucolare, non serve gridare aiuto. Devi solo capire che tu, Serenita, sei il muro e se vuoi puoi anche diventare altro. Se lo vuoi veramente con tutta te stessa uscirai dal carapace e tronerai da dove sei venuta."
Serenita dopo tanto, tanto, tempo si addormentò. L'anormalità e la normalità sono separate da una ( ' ) lacrima di profumo.